Vocabolario per il G8: per cominciare, la Globalizzazione
Tre buoni motivi per manifestare a Genova contro gli otto potenti della terra
I motivi per manifestare a Genova contro i G8 sono dieci, cento, mille. Ho davanti a me molti documenti e manifesti delle 750 organizzazioni, delle quali 120 straniere, che fanno riferimento al Genoa Social Forum. Dieci giorni fa erano 400 di cui 60 straniere; quante altre parteciperanno ancora in questo mese che ci separa dall’incontro dei grandi? Hanno aderito organizzazioni laiche e cattoliche, preti e suore, Azione Cattolica ed Acli, ciascuna con propri cartelli e modalità. Leggo alcune motivazioni alla mobilitazione dal programma della rete di Lilliput (un coordinamento di movimenti): ristabilire il primato della politica e delle istituzioni democratiche sul potere economico; istituire un organismo internazionale in cui tutti i popoli del mondo, democraticamente rappresentati, possano decidere circa il loro futuro; annullare tutto il debito del sud del mondo...; giungere ad un accordo globale sul clima più efficace di quello di Kyoto; eliminare gli strumenti finanziari eminentemente speculativi...; eliminare i "paradisi fiscali"...; riscrivere i trattati commerciali facendo prevalere la tutela dell’ambiente, l’equa distribuzione delle risorse, la difesa dell’economia locale, l’occupazione...; riaffermare che l’acqua, l’aria, la vita, in quanto beni comuni, non possono essere oggetto di alcun trattato commerciale...Altri manifesti indicano queste ed altre richieste. Sento l’esigenza, forse per deformazione personale, di trovare una gerarchia tra tanti obiettivi e soprattutto di capire quale sia la causa, o le cause ultime di tante contraddizioni. Ho riflettuto ed ecco le mie conclusioni. Primo. E’ necessario dissentire, perché gli "otto grandi" sono la copertura politica della globalizzazione finalizzata non al bene comune, ma al massimo profitto del capitale produttivo, commerciale e finanziario. Ho ascoltato alcune interviste su cosa sia la "globalizzazione", fatte a gente comune interrogata per strada. Le risposte erano a volte molto generiche, altre volte errate, altre infine ignoravano di che cosa si trattasse. Anch’io ho avuto difficoltà a suo tempo a cogliere il bandolo della matassa di una realtà così complessa. Mi ha aiutato, per cominciare a capire, l’esposizione puramente descrittiva della globalizzazione di Kenichi Ohmae, economista neoliberista, quindi non sospetto di partigianeria, che così si esprimeva (la sintesi è di Ortoleva e Revelli): "Oggi, grazie alle reti globali e alla precisione con cui le macchine utensili eseguono programmi di computer anche a grande distanza, è possibile immaginare un’impresa che abbia la propria sede a Singapore (città-stato che offre particolari condizioni di agilità e rapidità per costruire imprese), ma che scelga di svolgere la progettazione del prodotto in India (dove sono disponibili tecnici ad altissimo livello per salari dalle 7 alle 10 volte inferiori a quelli americani ed europei) e la sua ingegnerizzazione a Kuala Lumpur, in Malesia, localizzando i propri servizi finanziari a Hong Kong (un discreto paradiso fiscale) e appaltando la produzione ad unità produttive situate in diverse regioni della Cina – i cosiddetti "distretti speciali", dove il costo orario del lavoro si aggira sui 30 centesimi di dollaro (dalle 80 alle 100 volte meno che in Europa) e dove si lavora sotto la guida di stazioni telematiche ubicate a Bangalore, nell’India meridionale – per vendere poi i prodotti negli Stati Uniti e in Europa." Ricordando questo testo, la lista delle richieste dei diversi movimenti, cui ho fatto cenno all’inizio, ha cominciato a prendere corpo, ho visto la connessione delle varie contraddizioni e mi è apparsa sempre più lampante il fatto che la globalizzazione mira al massimo profitto e non al bene comune. Secondo. E’ necessario manifestare e dissentire dai G8 perché dietro la globalizzazione da loro rappresentata si muovono le multinazionali. Ancora una citazione illuminante da Francesco Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile, Ed. Feltrinelli, 1999. Dopo una sintetica definizione di globalizzazione simile a quella data precedentemente, Gesualdi aggiunge: " La globalizzazione non è frutto del caso, ma del convergere di vari fenomeni come la costruzione di mezzi di trasporto molto veloci, il diffondersi delle reti informatiche che ha abbattuto le distanze nella comunicazione, l’affermarsi di un nuovo clima politico che dedica grande attenzione agli interessi commerciali delle imprese. Un altro elemento determinante è stato l’emergere delle multinazionali (imprese, banche, governi, tecnocrazie, organismi finanziari transnazionali): queste imprese produttive, commerciali (e finanziarie) sono diventate talmente grandi da sopravanzare le dimensioni dei singoli mercati nazionali. Nessuno stato comprende più un numero di consumatori sufficiente ad assorbire i loro prodotti. Proprio perché l’economia è dominata dalle multinazionali (delle quali Gesualdi fa un’analisi numerica e qualitativa molto ampia, indicando inoltre i criteri di controllo e di boicottaggio), i mercati di riferimento non possono essere più le singole nazioni, ma il mondo intero. In effetti esse hanno esercitato ogni sorta di pressione sui governi per ottenere la totale liberalizzazione del commercio a livello mondiale, accorgendosi però che il mercato mondiale non può assorbire i beni ed i servizi messi in vendita dalle imprese... Il risultato è una concorrenza all’ultimo sangue basata sulla diminuzione continua dei prezzi, che a sua volta esige una diminuzione dei costi di produzione...attuata attraverso le misure di contenimento sul costo del lavoro...". A questo punto la mia comprensione ha acquisito, oltre che un corpo, anche un capo, cioè gli agenti primi dei processi di globalizzazione e dei suoi effetti nefasti. Terzo motivo per manifestare: dietro gli "otto grandi", dietro la globalizzazione e le multinazionali che essi rappresentano, si muovono i capitali produttivi, ma soprattutto quelli investiti nei movimenti speculativi. Oggi purtroppo la mia pagina termina. Ritornerò nei prossimi appunti sul capitale finanziario e speculativo e su ATTAC Italia, un movimento nato in Francia, presente in diversi paesi d’Europa e del mondo, che oggi si diffonde anche tra noi e che Agisce proponendo forme articolate di Tassazione sulle Transazioni speculative, in Aiuto ai Cittadini (mi scuso per il sapore "futurista" nel porre le maiuscole ad indicare il significato della sigla). ATTAC Italia ha svolto la sua prima Assemblea Nazionale a Bologna il 23-24 giugno scorso, con grande concorso d’esperti e di pubblico. (1 luglio 2001) Mario Arnoldi |