Il popolo di Seattle: terroristi od operatori di giustizia?
A proposito di una puntata de "L’Elmo di Scipio" di Enrico Deaglio
Sin dall’inizio dell’aprile scorso correva voce che una puntata de "L’Elmo di Scipio" di Enrico Deaglio sarebbe stata dedicata al popolo di Seattle. L’attesa slittava di domenica in domenica. Cascate di e-mail sollecitavano l’autore e poi finalmente la trasmissione andò in onda il 29 aprile. Prima di ogni riflessione, s’impone una premessa che mi è suggerita dalla psicologia dell’attenzione e della memoria. Di un’esperienza noi ricordiamo soprattutto il momento di massimo "sentire", "patire" avrebbero detto i latini, sia questo all’inizio, a metà o alla fine dell’esperienza stessa. Applicato alla TV, il principio vale a maggior ragione, poiché le immagini scorrono veloci e le nostre capacità recettive possono registrare solamente le sequenze che ci colpiscono maggiormente. Ed ora vengo a "L’Elmo di Scipio" ed al popolo di Seattle. Prima considerazione. Dopo un inizio soft in cui si accennava ai problemi che gli otto grandi della terra andranno a discutere a Genova (il commercio globale, il clima, l’alimentazione, la sicurezza, gli investimenti finanziari di tutto il pianeta), dopo due interviste ad un responsabile della rete contro il G8 di Milano e ad una professoressa che si dichiarava "contro", ma in modo pacifista, e dopo un accenno al primo incontro di Seattle, del novembre ’99, che ha dato il nome al movimento, la trasmissione di Deaglio compiva una virata sul global forum di Napoli del marzo scorso e dilagava sugli scontri e le botte tra manifestanti e polizia, si fermava a lungo su un malcapitato manifestante colpito a terra dai calci dei poliziotti attrezzati per la guerriglia, metteva in bella mostra i manganelli ed ogni altro tipo di corpi contundenti, ecc...La mia reazione immediata, dopo queste immagini forti, le più forti della trasmissione, era un’equazione tra popolo di Seattle e botte, scontri e violenza, non importa da che parte venissero. La mia attenzione, ascoltatore medio come forse gran parte degli ascoltatori, a questo punto era totalmente presa ed esaurita da quelle immagini e colta da un atteggiamento di rifiuto. La puntata quella sera per me era finita lì. Deaglio stesso diceva, nella prima parte dell’intervista a Cohn Bendit, che la gente ricorda solo gli scontri di piazza... lui stesso ha contribuito a quell’erronea concezione. Seconda considerazione. Ho registrato la trasmissione e l’ho rivista più volte. Ad un’attenzione "seconda", mi sono reso conto che in essa c’era molto materiale. Ma, ahimè, quante ambiguità! Si alternavano informazioni corrette ed altre inaccettabili, con uno slittamento progressivo verso l’allontanamento dal discorso principale. Qualche esempio. Precisa l’informazione del primo incontro a Seattle, che, dietro la parola d’ordine "il mondo non è in vendita", ha bloccato l’accordo per la libertà selvaggia dei mercati delle grandi potenze; buone alcune battute di Cohn Bendit, "è una mondializzazione contro i poveri da parte delle grandi aziende ed i paesi ricchi", "c’è bisogno di regole sociali, di ambiente", "non sono contro la mondializzazione ma contro questa globalizzazione", "la politica deve avere la priorità sulla scienza e sulla Chiesa"; buone le interviste ad alcuni rappresentanti di movimenti, come la Campagna Sdebitarsi, Ya Basta, ed altre. Non accettabili invece, o per lo meno discutibili, e non discusse, altre battute di Cohn Bendit sulla tentazione di guerra civile (da parte di chi?) e sul pericolo del militantismo della piazza che arriva spesso a forme di terrorismo (ricordo della peggiore interpretazione del Sessantotto come matrice del terrorismo degli anni ’70 e segno di totale sfiducia nella forza di trasformazione dei movimenti di base e della società civile). Ripetitivo il susseguirsi delle interviste a Cohn Bendit, unico opinionista: altri giornalisti, per essere imparziali, intervistano voci diverse e contrapposte. Poi l’allontanamento del discorso verso storie interessanti ma che distoglievano l’attenzione dal tema centrale del G8: lunga parentesi sui 24 subcomandanti, guidati da Marcos, che marciarono su Città del Messico accompagnati dal gruppo di Milano Ya Basta, movimento che per altro organizza incontri e dibattiti a Genova di cui non si è fatto cenno. Devianti le sequenze sui "bilanci di giustizia", iniziativa ottima, ma..." Carneade, chi era costui?" per il pubblico non specialistico. Poi la deriva con le interviste al fisico Giulio Regge sul grano duro e sull’elettrosmog che non costituirebbe pericolo, che sapeva tanto di difesa di interessi privati. Tutti elementi quest’ultimi che vanno a dissolvere i ricordi positivi precedentemente indicati. Infine, nessun accenno alle diverse e molteplici anime dell’anti G8, ai coordinamenti ed ai movimenti più significativi della lotta per contenere le multinazionali nei limiti di giustizia: come il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, che promuove campagne di boicottaggio pacifista, in collegamento con analoghi centri in Europa e negli Stati Uniti; o il movimento delle donne che nei giorni 15 e 16 giugno promuovono a Genova un Meeting internazionale "Per una società di donne e uomini equa, solidale, pacifica e democratica"; o il "Commercio equo e solidale", che dà vita a cooperative autonome nei paesi del sud del mondo e ne favorisce il mercato e che, negli stessi giorni del meeting delle donne, svolge, sempre a Genova, la "7° Festa Mercato", dove saranno presenti più di 500 negozi di ogni città d’Italia; oppure la rete di Lilliput, che coordina molti movimenti. Ultima riflessione. La trasmissione di Deaglio, come tante altre sullo stesso argomento, è acefala, senza testa. Non spiega cos’è la globalizzazione contro la quale il popolo di Seattle si oppone. Non è semplice parlare di globalizzazione dei flussi finanziari, della tecnologia e delle comunicazioni, della produzione e del commercio e collegare a questa gli effetti nocivi di cui tutti parlano. Se non si fa la connessione tra causa ed effetti, si fa solo della beneficenza, ed i problemi rimangono insoluti e i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. E pensare che gli spunti buoni c’erano: quella professoressa che, all’inizio, affermava che il vero violento era Bush e le prime battute che ho citato di Cohn Bendit. Il popolo di Seattle fa questo riferimento alle cause, alle multinazionali ed ai governi che le "comprendono", ed è per questo che lo si condanna, lo si reprime, si blindano le città verso le quali si muove, contravvenendo alle elementari norme di libertà. Cattiva informazione quindi sia per chi si è fermato alla prima visione, sia per chi ha rivisto più volte la trasmissione registrata. (29 maggio 2001) Mario Arnoldi |