L’appello del volto dell’altro

"L’immagine convenzionale di Cristo con una barba scrupolosamente pettinata, con i capelli accuratamente divisi, è tale da far pensare a chiunque che il nostro Redentore è appena uscito dalla bottega del barbiere. Un giorno lo dipingerò io, Cristo, come un uomo terrorizzato e terrificante, quale deve essere stato veramente. Con la barba selvaggia lo dipingerò; tutto sporco della sabbia del deserto, con lo sguardo selvaggio del visionario". Così si esprimeva lo scrittore portoghese J. M. Eça De Queirós nella seconda metà dell’800, scandalizzando. (citato da B. Placido su La Repubblica, 08.04.01).

Recentemente la Bbc, utilizzando le informazioni delle Scritture e degli studi dei tratti somatici dell’epoca, ha ricostruito al computer il volto di un palestinese di duemila anni fa circa, un possibile volto di Cristo, molto simile a quello tratteggiato da Eça De Queirós, ed i mass-media lo hanno diffuso.

Quel viso di fatto è molto differente da quello del Cristo al quale siamo abituati dall’iconografia tradizionale.

Agli studiosi il delicato compito di continuare la ricerca. Ciò che la vicenda mi ha suggerito è che il volto del Cristo potrebbe essere un volto diverso, comunque è un volto diverso, così come diverso è il suo messaggio d’amore, d’accoglienza del povero, del pellegrino, dell’immigrato, del perseguitato, dello sfruttato, dell’altro da me.

Così come diverso è il mistero che ci sovrasta, che il non credente chiama destino, fato o caso, favorevole o incombente, ed il credente sente come presenza del Signore.

D’altronde, se non fosse così, il nostro dialogo umano e religioso con l’altro, col mistero, col Cristo e con la Divinità sarebbe solamente la copertura di un dialogo con noi stessi.

(15 aprile 2001)

Mario Arnoldi