La diversità è una ricchezza, non un pericolo!
Data: 09 Ottobre 2024
Autore: a cura della redazione
Se oggi fossero in vita Gandhi e Aldo Capitini li arresterebbero (fino a 15 anni per resistenza attiva; fino a 4 anni per resistenza passiva - nuovo reato, ribattezzato “anti-Ghandi”). E se oggi tornasse Gesù al tempio lo arresterebbero per opposizione alle grandi opere. C’è poco da scherzare ma quello che é stato battezzato Decreto Sicurezza n.1660 (che qualcuno ha soprannominato “leggi super fascistissime”) se la prende, con una certa acrimonia, con i più deboli, sempre più condannati alla sofferenza, all’indigenza: con i senza casa (carcere fino a 7 anni per chi occupa una casa sfitta o solidarizza con le occupazioni), gli immigrati sbarcati sulle nostre coste (vietato a quelli senza permesso di soggiorno finanche l’uso del cellulare, vincolando l’acquisto della SIM al possesso del permesso), i detenuti (le proteste in carcere o nei Cpr possono essere punite col carcere fino a 20 anni), le donne e i bimbi di etnia Rom (carcere immediato anche per le madri incinte o con figli di età inferiore a un anno), solo per fare alcuni esempi. Oltre alla dignità umana calpestata da questo Governo, stiamo assistendo ad uno smantellamento dei diritti sanciti dalla Costituzione italiana: si pensi solo all’articolo 17 che recita “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”, oppure all’articolo 40 “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano” (il blocco stradale e quindi gli scioperi diventano reato penale con condanne fino a 2 anni di carcere). Sembra la demolizione pezzo per pezzo della democrazia reale. Tutto ciò per nascondere problematiche irrisolte, smantellando di fatto il “welfare state”, cioè il complesso di politiche pubbliche mes- se in atto da uno Stato che interviene in un’economia di mercato per garantire l’assistenza e il benessere (welfare per l’appunto) dei cittadini, intervenendo così sulla distribuzione dei redditi causata dalle forze del mercato stesso (fonte: www.edenred.it/welfare-aziendale/ welfare-state-caratteristiche/). Così facendo il Governo in carica in questo momento mette la testa sotto la sabbia come gli struzzi: • non risolve il problema della casa, delle famiglie che non sanno dove andare a vivere, degli sfrattati, dell’alto numero di appartamenti sfitti nelle grandi metropoli, e degli affitti esosi per chi si trasferisce per motivi di lavoro o di studio da una città ad un’altra; • non dà risposte serie e concrete al sovraffollamento delle carceri, alle inumane condizioni di vita ed ai suicidi dei detenuti, nonché al disagio delle guardie carcerarie e degli altri operatori che in carcere lavorano; • non si prende cura degli immigrati stranieri che sbarcano da noi, facendo finta che non esistano, anzi li trattano violando con cattiveria i loro diritti. Anche quello così importante di poter comunicare con i propri cari attraverso un cellulare; • non dà delle certezze al ceto medio che lavora ma che, spesso, non arriva a mettere assieme il pranzo con la cena e che quotidianamente frequenta con la famiglia le varie caritas territoriali; • distrugge l’ambiente circostante, punendo chi si batte e manifesta contro le cosiddette Grandi Opere come il Tav, oppure i giovani studenti che fino a pochi anni fa studiavano ecologia a scuola nella cosiddetta Educazione Civica. E chi si impegna in tal senso con manifestazioni e volantinaggio è punibile fino a 6 anni, essendo considerato questo “terrorismo della parola”. Un dato che lega tutti gli aspetti del decreto è la negazione del conflitto che viene represso e coloro che lo praticano vengono considerati come nemici. In realtà il conflitto sociale consente, come ci ricorda Bauman, l’espressione dei subalterni e delle vite di scarto e la lotta per la propria dignità è il motore che produce inclusione ed emancipazione. È attraverso il conflitto che nascono e si esercitano i diritti. Il conflitto è fondamentale in una democrazia sana. Con la mobilitazione e la lotta si sconfigge la rassegnazione, l’apatia, l’indifferenza e si favorisce la partecipazione. Il conflitto è l’opposto della guerra. Da una parte si tratta di muoversi sul terreno della complessità, della differenza, della discussione e della convivenza mentre la guerra tende alla semplificazione, all’omogeneità, alla creazione del nemico e, in ultimo, alla sua eliminazione. Contro il decreto c’è stata la risposta e la mobilitazione di partiti, sindacati, gruppi, associazioni e singole persone. Potrebbe essere un segnale importante di “risveglio” da un senso di sfiducia, impotenza e rassegnazione che sembra essere entrato delle nostre vite, e che le guerre, con le quotidiane devastazioni e la non volontà di cercare mediazioni, ancor più rafforzano la sensazione di inutilità del nostro testardo impegno per pace e giustizia. Tornando al DDL 1660 ci sembra interessante il comunicato dell’ANPI che accompagna la partecipazione dell’Associazione alle iniziative di mobilitazione. Nel silenzio dei media e del dibattito pubblico è stata approvata dalla Camera nei giorni scorsi la cosiddetta legge-sicurezza. Si aumentano le pene per reati già codificati e si disegnano nuove fattispecie di reato. È una ‘summa’ repressiva che criminalizza le lotte sociali, con particolare accanimento verso lavoratrici e lavoratori, ambientalisti, migranti, detenuti, madri detenute, chiunque protesti contro le scelte del governo. Si vuole condizionare la libertà di espressione e impedire il pacifico conflitto sociale che è un cardine della democrazia costituzionale. La legge è un tassello evidente di un disegno più generale teso a stravolgere lo stato di diritto. Ma al di là delle singole disposizioni su materie di natura molto diversificata, ciò che preoccupa è l’impianto culturale complessivo del provvedimento in via di approvazione. Una cultura che legge la diversità come un grave pericolo, anziché comprenderla nella sua reale essenza: quello di una ricchezza sociale, una garanzia contro derive autoritarie e un fattore di maturazione civile e culturale. In una società autenticamente democratica la vera ricchezza è la presenza di un’ampia pluralità di opinioni e di una molteplicità di proposte culturali capaci di confrontarsi liberamente e valorizzarsi reciprocamente. È questa la sfida che abbiamo davanti, confrontarci positivamente con chi è diverso da noi, raccogliere i semi di novità che vengono lanciati da chi vive o opera in contesti più in prima linea. Provvedimenti che puntano invece a un’omologazione culturale dettata per legge, limitano la crescita del paese, anzi ne favoriscono il declino e spianano la strada a possibili derive antidemocratiche.
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