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In cammino verso la Pasqua



Data: 19 Febbraio 2022
Autore: a cura della redazione



Scrivere il 19 gennaio 2022 un
editoriale che sarà letto a marzo
rende l’idea di che cosa s’intenda
per “profezia”. Non si tratta di
indovinare gli accadimenti futuri
(per esempio il/la presidente dei prossimi sette
anni con tutto quello che seguirà) ma di dare
loro un senso, quali che essi siano.

Il motto dei cistercensi (“stat crux dum volvitur
orbis”, la croce resta salda mentre il mondo
gira) e l’eterno ritorno delle stagioni dell’anno
liturgico sono l’immagine plastica di un
modo di vivere il tempo degli avvenimenti senza
fretta e senza paura, con la sapienza che
“nulla c’è di nuovo sotto il sole”, perché “tutto
è vanità”, cioè apparenza. La sostanza, il
substrato, è una/o, come il fuoco è uno, anche
se le scintille sono miliardi, la vita è una anche
se gli atomi sono innumerevoli. Qoelet,
Democrito, Socrate, Buddha, Jeoshua, Lucrezio,
Francesco, Cervantes non dicono altro. Le
religioni, le politiche sono la Babele: non il
Male, perché sono la differenza necessaria, ma
il Male se rifiutano l’integrazione e pretendono
il primato, ciascuna credendosi l’assoluto.
Il superamento di questo assoluto, cioè della
pietrificazione della mente e dell’anima, è
quanto ci viene chiesto di ricercare nel dinamismo
quaresimale, un compito che riguarda
tutti, credenti o meno.

Nell’ambito di fede, come dice fra Ermes
Ronchi: “Con la quaresima si entra nel cammino
della trasformazione, della evoluzione e
il cuore della trasformazione è essere piccoli
e fragili dove Dio entra, lo Spirito entra come
soffio. Non spaventarsi di questo essere fragili,
ma pensare alla Quaresima come trasformazione
dalle ceneri alla luce, dal residuo alla
pienezza. Io lo vedo un tempo non penitenziale,
ma vitale, non tempo di mortificazione, ma
di vivificazione. È il tempo del seme dentro la
terra. La Quaresima inizia sempre in inverno,
che è l’ultima delle stagioni, un po’ la cenere
dell’anno, e termina sempre in primavera. Questa
sapienza della natura - il creato è la prima
parola di Dio - ci fa guardare alla primavera
che non si spaventa di nessun inverno, Dio non
si spaventa da nessuna cenere in cui io sono
seduto o che sono ridotto a diventare...

È un tempo di potatura perché abbiamo fatica,
qualcuno ha perso delle persone care, la
nostra vita viene alle volte aggredita. Però io
penso alla potatura delle piante: i giardinieri
potano gli alberi non per penitenza, ma perché
ritrovino l’energia di primavera, li riportano
all’essenziale. Ecco, viviamo un tempo che ci
può riportare all’essenziale, riscoprendo ciò
che è permanente nelle nostre vite, da ciò che
è effimero. Quindi è un dono questo tempo per
dare più frutto, non per castigare ma per rendere
fecondi. Questa per me è la speranza…
Un virus non cambia il cuore dell’uomo, non
cambia la profondità delle persone. Penso che
noi abbiamo due strumenti maggiori per avere
una Pasqua di fraternità: la carità e il perdono.
La carità è il prenderci cura, e la cura si
nutre di tenerezza verso l’altro; il perdono è
quello che libera il futuro delle persone, non
tanto libera il passato. Penso che il perdono,
da cogliere e da offrire, sia qualcosa da chiedere
al Signore. Vuol dire liberazione, nel Vangelo
è usato il verbo della nave che salpa, della
carovana che parte al levare del sole, dell’uccello
che spicca il volo, della freccia che scocca.

È vero che è una Pasqua di fragili, questa,
di molti crocifissi, ma quello che a me è chiesto
è il segno della carità. Gesù è venuto a portare
questa rivoluzione della tenerezza e la rivoluzione
del perdono senza misura. Queste due cose
costruiscono la fraternità universale”.
Il cammino quaresimale di trasformazione
quest’anno siamo chiamati a viverlo nello spirito
del percorso sinodale proposto da papa
Francesco all’intera comunità ecclesiale. Una
sfida, quella del sinodo, che ci pone dinanzi
senza mezzi termini la dimensione dell’ascolto.
Una dimensione che ci viene ricordata in
modo particolare da un episodio evangelico nel
quale Gesù libera dal demonio la figlia di una
donna, della quale non conosciamo il nome,
indicata come cananea da Matteo (Mt 15,21-
28) e come siro-fenicia da Marco (Mc 7,24-
30), ma caratterizzata da una notevole dimensione
spirituale. Questa donna svolge addirittura
un’azione di stimolo nei confronti di Gesù.
Gesù, infatti, in un primo momento non aderisce
alla sua implorazione, ponendo in rilievo
che la sua missione era in primo luogo rivolta
ai figli d’Israele, e che il pane destinato ai figli
non poteva essere dato ai cagnolini. Ma in questo
scenario assume un grande rilievo la figura
di questa donna, che stimola Gesù a prendere
coscienza della dimensione universale
della sua missione. In qualche modo la donna,
per altro straniera, con la sua sapiente replica
alla similitudine fatta da Gesù sul pane dei figli
gettato ai cagnolini, ricorda molto anche
Maria con il suo l’intervento nei confronti di
Gesù in occasione delle nozze di Cana. Gesù,
alla fine, riconosce la fede della donna e opera
la guarigione implorata. Dalle pagine evangeliche
più volte ci vengono mostrate figure femminili
che sanno intuire con grande immediatezza
e spirito profetico la luce della fede, semmai
in momenti in cui i discepoli maschi e giudei
sono un po’ impigriti.

E allora è forse il caso di immedesimarci nei
cagnolini, richiamati da questa donna straniera,
ricordando di essere solo dei fallibili cercatori
e servitori della verità, che solo in Cristo
è piena. Della verità proposta da Gesù, noi
suoi seguaci siamo capaci di raccoglierne solo
delle briciole, proprio come i cagnolini. Il nostro
sforzo dovrà essere allora quello di trasformare
queste briciole in autentici talenti da
far fruttare nella vita quotidiana, nel confronto
con le donne e gli uomini più diversi, cercando
di scoprire, nello sforzo d’interpretare
in stile sinodale i “segni dei tempi”, nuovi doni
della fede che prima non siamo riusciti a cogliere.
Se Gesù ha saputo ascoltare e ha saputo
farsi ispirare da una donna, per giunta straniera,
anche noi come persone e comunità ecclesiale
dobbiamo imparare ad ascoltare chi
vive ai margini. È una sfida impegnativa, difficile,
ma è la strada che ci mostra costantemente
Gesù, che ci ha mostrato la centralità
del guardare ai piccoli, agli umili, ai miseri.
Proprio da chi sta ai margini possono venire
mostrati nuovi e inediti itinerari per incarnare
più pienamente la fede.

Nelle settimane della Quaresima allora, avvicinandoci
alla luce della Pasqua, di fronte alle
sfide inedite a cui è chiamata l’umanità di oggi,
ascoltando gli ultimi e i deboli, dai quali lo stesso
Gesù non ha esitato a lasciarsi ispirare, possiamo
trovare il modo migliore per purificare e
rendere più feconda la nostra esperienza di fede.