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Democrazia a rischio?



Data: 29 Gennaio 2022
Autore: a cura della redazione



Perché la politica ed i parlamentari
hanno fallito?
Perché hanno perso di credibilità?
Se lo chiedono in tanti e ci poniamo
anche noi questo quesito.
Assistiamo sempre più, in Italia ma anche
all’estero, ad un divario enorme - quasi un baratro
- tra popolo e politici di professione. Un
esempio sono stati alcuni momenti fondamentali
della vita politica del nostro Bel Paese. Si
sono viste le aule di Senato e Camera semideserte
(8-10 persone in tutto) quando dovevano
discutere in assemblea sia della proposta referendaria
riguardante l’uso della cannabis, sia
dell’eutanasia.

Una vergogna, a dir poco. Sintomo che in
Italia c’è una sorta di menefreghismo strisciante,
trasversale a tutte le forze politiche, tra i
rappresentanti politici, ma anche tra molti cittadini.
La crisi della politica, o meglio l’agonia
delle istituzioni, si evince proprio da qui:
manca la fiducia che c’era un tempo. Misuriamo
la sfiducia verso gli organismi istituzionali
anche attraverso quei “no-vax” che dubitano
dei propri medici e della sanità pubblica fino
ad averli trasformati, nella loro fantasia, in carnefici.
C’è bisogno di novità politiche in Italia? Per
far respirare il nostro Paese? Sì, certo. C’erano
state le novità politiche, come il Movimento 5
Stelle o la nuova forza politica il cui capo era
stato il noto imprenditore delle tv. Novità o
fuochi di paglia?
In effetti ci troviamo dinanzi ad alcuni fenomeni
di diversa natura e portata, che tuttavia
si configurano come autentici e confluenti pericoli
per la democrazia. Da vari anni si constata
il fenomeno della disaffezione e della
stanchezza dei cittadini per la partecipazione
democratica, e si discutono le cause che lo hanno
determinato. Di certo verifichiamo da tempo
un andamento in crescita dell’astensionismo
elettorale(1), nonché un pesante calo delle
iscrizioni ai partiti, una notevole riduzione del
numero delle sedi locali di aggregazione (sezioni,
circoli, ecc.), e un’irrisoria percentuale
di contribuenti che nella denuncia dei redditi
sceglie di destinare una piccola quota dell’Irpef
a sostegno dei movimenti politici. Una percentuale,
quest’ultima, lontanissima dal numero
dei contribuenti che scelgono di sostenere confessioni
religiose, forme associative no-profit
o iniziative di ricerca.

Questi fenomeni sono il segnale di una consistente
caduta del grado di fiducia che i cittadini
ripongono nelle forme organizzate di partecipazione
politica, il che non equivale a un
disinteresse tout court per il confronto; ma è
certamente vero che gran parte dei cittadini se
ne interessa come spettatore e non come protagonista.
È un po’ come nello sport, una cosa
è scendere in campo per giocare, altra cosa è
andare allo stadio e altro ancora è guardare la
partita in tv. In politica i talk show televisivi
registrano un loro seguito e hanno ancora la
capacità di riuscire a essere programmati anche nelle fasce orarie di alto ascolto, ma la partecipazione
in prima persona all’attività politica difficilmente
riesce ad attrarre le persone spingendole a riservare
ad essa impegno, tempo e dedizione emotiva. E quando
si sceglie la via dell’impegno e della partecipazione,
spesso questo fenomeno può registrare vari limiti come,
per esempio, una sorta di parcellizzazione monotematica
(un impegno anche generoso su un tema avvertito
come di grande importanza, ma al di fuori da una visione
d’insieme dell’andamento della cosa pubblica) o, in
altri casi, può assumere un carattere del tutto temporaneo
(come si registra in occasione delle scadenze elettorali
amministrative, allorché assistiamo a un fiorire
di numerose aggregazioni, che molto spesso appassiscono
il giorno successivo al voto e non solo per risultati
negativi).

Per contro il costume ormai profondamente sedimentato
nella vita politica che, al di là dello sterile flatus
vocis, esibisce un ampio disinteresse per le aspirazioni
dei cittadini, come mostrano le aule parlamentari desolatamente
deserte in occasione di momenti di discussione
su temi di alta rilevanza politica, etica e culturale.
D’altronde il disinteresse e la disattenzione alle attese
della cittadinanza in queste settimane sta registrando
un preoccupante spazio. Basti pensare alle reazioni
prodotte dallo sciopero generale dello scorso 16 dicembre,
con il quale il movimento dei lavoratori ha
finalmente riportato nelle piazze del nostro Paese la
voce della giustizia sociale e della solidarietà. Da un
lato abbiamo registrato il consueto stracciarsi le vesti
delle forze di centro-destra che, come sempre, guardano
come fumo negli occhi ogni iniziativa dei lavoratori,
che sono il motore reale della crescita economica e
sociale del paese e che spesso pagano direttamente sulla
propria pelle quest’impegno. Dall’altro abbiamo visto
l’incapacità delle forze progressiste di cogliere l’iniziativa
sindacale come un utilissimo assist da spendere
con sapienza e lungimiranza nei tavoli di negoziazione
intergovernativa per migliorare in forma decisa
la manovra economica in favore dei lavoratori e dei
ceti più deboli.

Un altro dato che desta preoccupazione si può poi
rilevare nel carattere delle iniziative e delle trattative
che si stanno conducendo in vista dell’elezione del nuovo
Presidente della Repubblica. Il tema della parità di
genere è ampiamente sentito dalla cittadinanza, e l’idea
di operare affinché una donna possa essere la prossima
inquilina del Quirinale dovrebbe affascinare le forze
politiche. Ma, al momento in cui poniamo per iscritto
queste riflessioni, le voci che auspicano una donna alla
Presidenza della Repubblica sono poche e alquanto flebili.
E invece sarebbe l’ora per dare una tonalità rosa
alla serie storica dei Presidenti. Perdere questa opportunità
significherebbe rinviare la cosa al 2029. È auspicabile
allora che le forze politiche, in particolare quelle
di sinistra e di maggiore sensibilità democratica, diano
concretamente voce a questa viva aspirazione della cittadinanza.
Dopo il significativo contributo in termini
di dedizione e di sensibilità offerto dal settennato di
Mattarella, sarebbe davvero un bel passo avanti poter
avere una donna illuminata al Quirinale. È un’occasione
da non lasciarci sfuggire!
Questi “cahiers de dolèance” non vogliono assolutamente
dar fiato al qualunquismo dei detrattori della
Politica che tanti danni hanno già prodotto nel nostro
Paese, ma desiderano evidenziare questo enorme problema
che riguarda più in generale la partecipazione
dei cittadini alla vita pubblica. Ci riferiamo in particolare
a quelli sfiduciati che hanno ritenuto di abdicare
al loro ruolo, delusi - a ragione - dalla deriva in atto da
anni. Si veda a titolo di esempio il caso degli elettori di
sinistra del PD (ce ne sono ancora!) che con Renzi si
sono ritrovati a constatare prima politiche neoliberali
e poi la fuoriuscita dal partito e l’alleanza con il centro
destra, rendendo vano il voto da loro espresso.
Ma soprattutto la sfiducia deriva, a nostro parere, dal
comportamento ancillare dei partiti nei confronti dei
potentati economici nazionali e internazionali e delle
classi ricche. In un paese sempre più diseguale, i provvedimenti
presi negli ultimi anni, e segnatamente da
questo governo, mentre attuano una marcata privatizzazione
come nel caso dell’acqua, tendono a salvaguardare
i ceti medio alti, come si vede dal rifiuto di reinserire
sia la tassa di successione, peraltro tipica di ogni
politica liberale, sia una patrimoniale. Per tacere dell’ultima
finanziaria che assegna al 3,3% dei contribuenti
più ricchi il 14 per cento dei 7 miliardi del taglio
Irpef, mentre esclude da ogni beneficio il 20 % delle
famiglie in difficoltà e incapienti: è rimasto solo il reddito
di cittadinanza difeso dal M5S ma fortemente contestato
dal renzismo e dalle forze reazionarie. Anche
l’ambito ecologico viene asservito agli interessi delle
grandi corporation che continuano nella loro prassi inquinante
riverniciata di verde. Il potere di manipolazione
degli ultimi e dei penultimi da parte della politica
spalleggiata dalla TV, dalla pubblicità e dalla grande
stampa è sotto gli occhi di chi vuol vedere. Come
porvi rimedio? L’economista francese di fama internazionale,
il gesuita Gael Giraud, parla dell’incapacità di
ascolto dei potenti con cui ha avuto contatti in varie
parti del mondo che, troppo presi dagli impegni contingenti,
“non hanno nemmeno il tempo di riflettere”.
Questo significa che, se non si parte dal basso,
cioè da noi, nessun cambiamento serio sarà possibile;
ma perché ciò avvenga occorre una forte assunzione di
responsabilità da parte di persone capaci di mente, cuore
e mani, disponibili a spendersi ai più diversi livelli,
a partire dall’istruzione.
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(1) Sino al 1976 la partecipazione ha oscillato
sempre sopra il 93 %, nel 79 è stata il 91 %,
nell’83 dell’88 %, nel 2001 dell’81 %, per risalire
nel 2006 all’84% e ridiscendere ogni
volta sino al 73 % del 2018.