In cammino tra paure e speranze
Data: 29 Luglio 2021
Autore: a cura della redazione
Siamo tutte e tutti in cammino, sia a livello individuale che soprattutto collettivo. Anche la nostra piccola redazione di “Tempi di fraternità” riflette e si interroga sulla realtà, al fine di capire dove ci portino i diversi sentieri che si aprono dinanzi a noi. Siamo, come tanti per fortuna, in ricerca continua, accompagnati dall’inquietudine e dal dubbio. È importante, a questo proposito, valorizzare la dimensione del camminare insieme (nostalgia forse dei tempi a Torino del card. Pellegrino?), affrontando problemi, difficoltà e paure.
La paura accompagna da sempre il cammino umano, dall’età del bambino a quella adulta. La paura è una brutta bestia, può impedire la volontà di lottare e di rinunciare all’impegno per la giustizia e la pace, può spegnere lo spirito e rischia di bloccare il cammino stesso. La paura, si sa, è il nemico peggiore della fede. Nella liturgia recente abbiamo ascoltato le parole di Gesù rivolte ai discepoli: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4,40). Nel momento della prova di fronte alla tempesta sul lago, i discepoli hanno paura di credere, di affidarsi con fiducia al loro maestro. Eppure è vitale che il cuore degli uomini e delle donne si apra alla fiducia e non sia prigioniero della paura. Avere fiducia è una legge fondamentale della vita, a partire dal bambino che deve vincere la paura (di cadere e di farsi male) per imparare a camminare. I bambini hanno fiducia negli adulti perché credono nei gesti di amore, di affetto e di attenzione, perché vivono essenzialmente nella relazione.
Quali sono le paure? Citiamo per prima la paura, molto umana senza dubbio, di “perdere” con il tempo capacità fisiche e intellettuali, di perdere affetti e conoscenze, di perdere soldi, di diventare soli. Tutto ciò, è bene ricordare, può accadere non solo alla persona anziana. Il brano di Marco, visto in precedenza, si cala bene nell’attuale contesto di pandemia (sindemia), così fortemente caratterizzato dalla paura di potersi ammalare, dell’isolamento da parte dei propri cari, di poter soffrire e infine di morire. Davanti al contagio da Covid-19, vorremmo tornare come prima, come se tutto ciò che è venuto dopo fosse stato solo un brutto sogno.
Ma la paura è anche utile, perché ci mette in guardia da un pericolo. Ci segnala che dobbiamo fare attenzione. La nostra riflessione sulla paura di perdere qualcosa passa anche dall’attaccamento alle nostre idee, ai nostri progetti, ai nostri soldi. Ma non solo: siamo attaccati anche alle nostre relazioni, alle nostre comunità, alle persone che condividono con noi tratti di strada. Siamo talmente attaccati a tutte queste cose, che non riusciamo a distaccarcene tanto facilmente. Ma dobbiamo ammettere che ciascuno di noi è anche frutto di tutto questo, ha voluto costruire legami di fraternità e sororità, ha imparato ad ascoltare e a condividere, cercando, e talvolta trovando, strade buone non tracciate in precedenza.
Vivere la libertà richiede che, oltre alle scelte di provare percorsi inediti che ciascuno di noi è chiamato a percorrere, comprenda anche di compiere passi nella direzione di un qualche distacco concreto, reale. Tutto questo è cammino. Un’altra considerazione, importante, che riguarda la ricchezza, una sfida che quotidianamente ci ritroviamo dinanzi sul piano della vita individuale, familiare, sociale ed ecclesiale. Paradossalmente ci si può ritrovare nella condizione che, se si ha di più, si sperimenta una maggiore paura di perdere quanto acquisito, e si è tentati di fuggire dal rischio di mettere in gioco la posizione conquistata, con il risultato di far esperienza della tristezza del giovane ricco (Mt 19,16-22).
La fede alla quale ci chiama Gesù, lungi dall’essere un utile prontuario di divieti e di obblighi, è in realtà un po’ come l’avventura del navigare. Si può scegliere se contentarsi delle acque protette e più tranquille di una baia ben riparata, della quale si conosce ogni anfratto e l’ordinario andamento delle correnti. Oppure si può raccogliere la sfida dell’uscire in mare aperto, del confrontarsi con venti e correnti poco conosciuti, se non addirittura ignoti. Qui, la navigazione è, di certo, meno facile e più pericolosa. Ma il mare aperto è, tuttavia, il luogo dove realmente si tempra “il marinaio” e si forma “lo sperimentatore di nuove rotte”. Certo, c’è il pericolo del fallimento, ma abbiamo anche la certezza che la scelta di “nascondere il talento” è, in definitiva, quella che è realmente priva di prospettive (Mt 25,14-30). Allora la vera sfida che ogni giorno abbiamo davanti è quella di esser sempre pronti a “prendere il largo”.
Qualche considerazione, infine, sulla speranza o, meglio, sul passaggio dalla paura che blocca il cammino alla gioia della speranza divenuta realtà concreta, di essere comunità rivolta al bene comune, che favorisce il coraggio e la fiducia dei suoi membri. È il sentimento che supera la paura, anche questa molto umana, di “donare”, di essere generosi, di volersi prendere cura del prossimo in nome della comune umanità. Su queste basi desideriamo vedere il progetto di una società più giusta e solidale, capace di coinvolgere le nuove generazioni e tutti coloro che si trovano oggi ai margini di tutto.
Concludiamo queste riflessioni con un pensiero particolare rivolto ai migranti, le persone in cammino nel vero senso della parola. Chi più di loro può infatti dichiararsi di essere in cammino ? Il cammino è l’esperienza dell’uomo e della donna in ricerca di una condizione migliore per vivere e sopravvivere. Per i paesi ricchi il migrante costituisce una manodopera a basso costo e a zero diritti. Ciò nonostante il migrante è disposto a morire lungo il viaggio piuttosto che rimanere nel proprio paese a morire di fame. Le rotte seguite (ad esempio quella libica e quella balcanica per raggiungere l’Europa, quella messicana per andare negli USA) fanno ormai parte delle cronache giornaliere, non sempre caratterizzate da un pur minimo livello umano. Contro le paure di ogni tipo, contro la violenza più feroce sentiamo il bisogno di vivere la chiesa come comunità che è rivolta al bene comune e che favorisce il coraggio e la fiducia dei suoi membri. Qualcosa di più, pensiamo, rispetto ad un sinodo di uomini di chiesa.
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