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GIOIA E SPERANZE PER FRANCESCO I, VESCOVO E PAPA



Data: 16 Marzo 2013
Autore: Mario Arnoldi



Dopo tredici secoli – dal tempo cioè di Gregorio III e dei suoi predecessori provenienti dalla Siria - è stato eletto per Roma e per il mondo un Vescovo e Papa che non viene dal continente europeo. Ma c’è di più: per la prima volta il Papa giunge dall’America e dalla Compagnia di Gesù, l’ordine religioso fondato all’alba dell’età moderna per aderire alla radicalità di Cristo.
Ha scelto il nome di Francesco, con una decisione anch’essa senza precedenti nella storia delle successioni papali. Un nome che è divenuto cristiano grazie al santo di Assisi, nel quale già i contemporanei riconobbero un “secondo Cristo”. Per capire la portata di questa scelta richiamiamo brevemente le tappe fondamentali della vita di San Francesco.
Francesco d’Assisi, 1182-1226, figlio di un ricco commerciante, trascorse una giovinezza mondana e spensierata; inseguendo sogni di gloria cavallereschi, prese parte alle lotte cittadine che si accesero tra Assisi e Perugia, nel corso delle quali fu fatto prigioniero dai perugini. Seguì un lungo travaglio spirituale che si concluse all’inizio del primo decennio del ‘200 con la spoliazione in piazza degli abiti cavallereschi e con la rinuncia ai beni e all’eredità paterna. Gli aspetti dell’evoluzione successiva sono il servizio misericordioso ai lebbrosi e la scoperta decisiva del Vangelo come norma essenziale di vita per l’uomo. Costituì con i suoi seguaci un nuovo ordine religioso, i “frati minori”, nome che ben rappresenta le norme di vita di Francesco e dei suoi confratelli: la fraternità universale che si estende a tutta la natura, opera e immagine di Dio; la minorità intesa come servizio a tutti e soprattutto ai più poveri e derelitti, come rinuncia a ogni proprietà non solo individuale, ma anche comunitaria. Nel 1219, aprendo una tradizione di viaggi in Oriente proseguita poi dai suoi frati, Francesco si recò in Terrasanta, visitò il Sultano per proporre la sua predicazione evangelica. Nel 1221, di ritorno dal pellegrinaggio in Oriente, dopo la vita contemplativa e di predicazione in Italia, Francia e Spagna, dopo aver ricevuto le “stimmate” alla Verna nel Casentino, trascorse gli ultimi anni di vita tormentati da malattie fisiche che presto ebbero il sopravvento su un corpo che, a 44 anni, era già fortemente indebolito dalle penitenze e dai viaggi.
Leonardo Boff, in un’intervista rilasciata a “il manifesto” del 15 marzo u.s. dice che è importante che un Papa abbia scelto di chiamarsi Francesco che non è solo un nome, ma un progetto di Chiesa povera, popolare, che chiama tutti gli esseri della natura con dolci parole “fratello” e “sorella”, una Chiesa del Vangelo distante dal potere e vicina al popolo.
Grandi sono le speranze che nascono osservando il comportamento di Francesco nella giornata dell’elezione e nel giorno successivo. Innanzitutto è straripante la tensione vissuta dalla folla dei fedeli in piazza S. Pietro. Le emozioni sono forti in una circostanza quale l’elezione di un Papa: la lunga attesa di una fumata, le prime nere, poi finalmente quella bianca suscita un'onda di commozione. Ma bisogna aspettare ancora un’ora per vedere muoversi qualche ombra dietro la grande tenda che copre il balcone centrale. Poi finalmente quel sipario si apre e appare il cerimoniere che dice “Nuntio vobis gaudium magnum” e pronuncia quel nome, in parte argentino e in parte italiano, Jorge Mario Bergoglio, che annuncia l’apparire della figura imponente ma umile di Francesco I. Le ovazioni della folla che hanno accompagnato ciascuna di queste tappe diventano dirompenti. Le campane suonano a distesa.
I primi gesti sono nuovi, diretti, più semplici di quelli previsti dal cerimoniale e per questo molto significativi. Si è presentato vestito di bianco, senza la mantellina rossa papale, ha indossato la stola solo per la benedizione, poi l’ha tolta. Quindi il discorso. “Fratelli e sorelle buonasera… Il compito del Conclave è di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo…”. Nella prima immagine che Francesco ha voluto dare di sé si è autodefinito Vescovo di Roma, segno di una sensibilità pastorale e di grande radicamento tra la gente, come per altro avviene spesso in Argentina e nell’America del Sud. La speranza è che questa disposizione metta radici anche nel nostro occidente europeo, dove in genere nella Chiesa prevale un atteggiamento curiale, distaccato, teologizzante, clericalizzante, gerarchico, verticistico… Si spera che la nuova Chiesa possa essere più “collegiale” sia coi vescovi e sacerdoti, sia soprattutto coi laici che sinora hanno svolto un ruolo totalmente subordinato, senza alcun potere decisionale ma neppure consultivo.
Poi un ossequio al suo predecessore: “Vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito Benedetto XVI…preghiamo per lui perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. Ci troviamo nuovamente di fronte al coinvolgimento del titolo di Vescovo riferito al Papa precedente.
“E adesso incominciamo questo cammino, Vescovo e popolo, della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le chiese. Un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi…preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Un passaggio ulteriore, dall’aspetto apparentemente scontato, ma che contiene la prospettiva dell’attenzione universale della Chiesa di Roma, che deve essere volta non solo al “proprio orto” ma al mondo intero. Nel passato, non solo quello lontano, la Chiesa affermava che al di fuori di sé non c’era salvezza (extra Ecclesiam nulla salus), poi, con il concilio Vaticano II, alcune forze più attente hanno cominciato a pensare e a credere che la salvezza di Gesù di Nazareth si rivolgeva anche ad altre civiltà, ad altre religioni, ad altre chiese nella misura in cui anch’esse fruivano della salvezza di Cristo. Nelle parole del Vescovo e Papa Francesco non ci sono condizioni di sorta per l’estensione universale del messaggio di Gesù. Forse l’esser venuto dalla fine del mondo darà a lui la capacità del plurilinguismo che caratterizzò i discepoli di Gesù il giorno della Pentecoste e che il nostro Manzoni ha così bene rappresentato nell’ode che porta lo stesso nome. Infine, “…Adesso vorrei dare la benedizione ma prima vi chiedo un favore: pregate Dio di benedire il vostro Vescovo”. E’ il massimo dell’umiltà.
In queste premesse si apre la speranza di una grande rivoluzione.
Nell’intervista già citata, Leonardo Boff prevede che il nuovo Papa lavorerà prima di tutto per ripulire la curia dagli scandali, dalla pedofilia, dagli imbrogli della banca vaticana … e dopo farà un’apertura al mondo, perché i due Papi precedenti “hanno interrotto il dialogo con la cultura moderna. Diffamarla e considerarla puro relativismo e secolarismo, non riconoscerne i valori, è una blasfemia contro lo Spirito Santo”.
Anche sulle “ombre” che minaccerebbero la figura di papa Francesco, Boff ha parole chiare: circa un atteggiamento non inequivocabile che egli avrebbe avuto verso la dittatura militare e a proposito dell'avversione verso la Teologia della Liberazione, Boff ricorda che recentemente Perez Esquive, premio Nobel per la pace nel 1980, ha smentito che Bergoglio fosse complice della dittatura argentina, spiegando che invece ha salvato tanti perseguitati del regime militare. “Quel che è certo è che ha sempre preso la posizione dei poveri e degli oppressi anche nel suo stile di vita: è una persona semplice che si sposta in autobus, che vive in un piccolo appartamento, cucina da solo…viene dal popolo e si vede anche nella sua azione pastorale…La nostra Chiesa latinoamericana ha tanti martiri: Oscar Romero, Enrique Angelelli, tanti colleghi miei che sono stati sequestrati e assassinati durante la dittatura. Non avevano un’ideologia in testa, ma un certo tipo di atteggiamento con le favelas, con i barrios, con i poveri. E questo è l’importante. Che nome daremo a tutto questo non importa”.
A proposito della scelta del nome, Boff afferma che a quel tempo Francesco ha proposto con la sua vita un modello basato sul vivere senza ricchezze e senza titoli sulla terra e lontano dai posti di potere. “Credo sia utile pensare a una riforma del sistema capitalistico - continua Boff - che ormai ha dato tutto quello che poteva dare ed è arrivato alla fine. Bisogna andare verso un altro paradigma, verso un‘bien vivir’, come dicono gli indigeni latinoamericani. E bisogna superare la dimensione temporale, politica del Vaticano, una monarchia assoluta del passato. Bisogna rinunciare alle nunziature, utilizzare le banche etiche, decentralizzare la Chiesa, cioè i sui ministeri nei vari continenti del mondo”.
Anche per quanto riguarda la presunta opposizione alle coppie omosessuali, Bergoglio pochi mesi fa ha permesso a una coppia omosessuale di adottare un bambino. Ora può aprire una discussione ampia sul celibato, sulla sessualità, sulla riammissione dei preti sposati.
All’ultima domanda dell’intervistatrice: “Qual è il bene comune della Chiesa cattolica?”, Boff risponde: “E’ la tradizione di Gesù, l’amore incondizionato. Unire i due poli: il padre nostro col pane nostro. Cioè aprirsi verso la trascendenza e preoccuparsi di chi ha fame e bisogno. Solo così si può dire amen”
Infine, anche uno dei maggiori critici della Chiesa, il teologo Hans Kung, accoglie con entusiasmo la scelta del nuovo Pontefice: “Può aiutare la Chiesa. Il suo nome è simbolo di lotta al potere e di spiritualità profonda, povera, vicino allo Spirito”.
Tante speranze! Che le forze avverse non frenino il rinnovamento!