Tito fu macerato nella carne fino a che il dolore e la paura raggiunsero l'intimo della sua anima.Come fedeli guardiani di un sistema íniquo, poliziotti e soldati svuotarono l'umanità del giovane domenicano. Distrussero il suo mondo psichico, gli strapparono la pace, iniettarono nel suo subconscio il veleno della paura e della angoscia, profanarono i suoi simboli religiosi, lo resero orfano della sua stessa pazzia. Lo sconvolsero completamente.Come un frutto maturo, egli fu succhiato fino a che non restò altro che il nocciolo triturato. Lasciarono che sopravvivesse perché sperimentasse l'orrore di se stesso.
Frei Betto parla di Frei Tito
NEL GIARDINO DELLA NOSTALGIA
Il 10 agosto (1999) cadeva il venticinquesirno del martirio di Frei Tito de Alencar Lima. Sotto la chioma di un albero, in una foresta del sud della Francia, trovarono il suo corpo appeso ad una corda, oscillante fra cielo e terra, appunto sabato 10 agosto 1974. Là termìnò il rosario dei misteri dolorosi der frate domenicono all'età di 28 anni.
Arrestato a Sao Paulo dal delegato Fleury nel 1969, si rifiutò dì affermare che si era servito di una casa rurale per il congresso clandestino della UNE nel 1968 in lbiuna. Fecero pressione perché firmasse una dichiarazione in cui si diceva che I suoi confratelli prìgionieri avevano partecipato ad assalti alle banche. Non cedette.
La logica asettica della dottrina ecclesiastica e le premesse cliniche della psicanalisi fallirono di fronte ad un uomo sballottato fra l'orrore e la vita. Salvare l'uno signìficava perdere l'altra. I sotterranei della dittatura non offrivano alternative. Il prezzo dei silenzio aveva lacerato la sua struttura psichica. La sua preghiera cessò, l'utopia si spense, solo la poesia gli restò come rifugio.
L'introiezione dei torturatorí lo rese prigioniero di se stesso. I tentativì di cura dì rinomati medici francesi fallirono. La sua anima era stata confiscata dal terrore. Non era soltanto la solitudine di Gesù nel sentirsi abbandonato da Dio. Tito affondò nel delirio, naufrago che, senza appoggio e forze, sa che non gli resta che bere il mare salato.
Nell'impiccarsi, esorcizzò i demoni che il regime militare aveva inoculato nel suo spirito.
Partì in cerca di se stesso e, nelle steppe del suo spirito sconvolto, incontrò con certezza Colui a cui aveva consacrato la vita e coi quale divideva la croce.
Con li suo gesto temerario, Frei Tito riscattò la dignità di tutti quelli che si uccidono non per viltà, ma per non rassegnarsi alla follia che il rende estranei a loro stessi. Ridotto a pezzi, lo specchio interiore non permette di contemplare arnorosamente la propria immagine più ìntima. Allora si cerca dietro I frammenti il profilo originale. Come fìgii prodighi, la cui vìta è logorata dal dolore, sono accolti in festa dal Padre dell'Amore.
Martedì 17 febbraìo 1970 ufficiali dell'esercito prelevarono Frei Títo de Alencar Lima dal presidio di Tiradentes, dove era incarcerato dal novembre 1969, accusato dì sovversione: "Tu adesso conoscerai la succursale deií'inferno', gli disse il capitano Maurizio Lopez Lima.
Nelle stanze di via Tutoia, un altro prìgíoniero, Fernando Gabeira, testimoniò il calvario di Frei Tito: per tre giorni appeso al "pau-do-arara" (strumento di tortura), o seduto sulla "sedia dei drago", fatta di placche metalliche e fili, ricevette scosse elettriche alla testa, ai tendini dei piedi e alle orecchie, Gli dettero legnate sulla schiena, sul petto e sulle gambe, gonfiarono le sue mani con staffilate, lo vestirono di paramenti e gli fecero aprire la bocca "per ricevere l'ostia consacrata": scariche elettriche sulla bocca. Spensero le punte delle sigarette sul suo corpo e lo fecero passare dal "corridoio polacco".
Il capitano Beroni de Arruda Albernaz profetizzò: "Se non parli ti spezziamo dentro. Sappiamo fare le cose senza lasciare segni visibili. Se sopravviverai non dìmenticherai mai il prezzo dei tuo coraggio". Fra cedere e vivere, Tito preferì morire. "E' preferibile morire pìuttosto che perdere la vita", scrisse nella sua Bibbia. Con una lametta tagliò l'arteria dei braccio sinistro. Soccorso a tempo, sopravvisse.
Fuliberato nel 1970 nel dicembre 1970, ínsieme ai prigionìeri politici scambiati con l'ambasciatore svizzero sequestrato dalla VPR. Sbarcato a Santiago dei Cile, un compagno commentò: "Títo, ecco finalmente la libertà!. Il frate domenicano mormorò: "No, non è questa la libertà".
A Roma, le porte dei Pìo Collegio Brasìlìano, seminario destinato a formare l'éiite dei nostro clero, si chiusero di fronte al religìoso che aveva fama di "terrorista". A Parigi, i nostri confrateiií lo accolsero nel convento di Saìnt Jacques, alla cui entrata una targa ricorda l'invasione della Gestapo nel 1943 e l'assassìnio di due domenicani.
Il capitano Albernaz aveva ragione: soffocato dai suoi fantasmì interiori, Tito diventò assente. Udiva continuamente la voce roca dei delegato Fleury che l'aveva arrestato e lo vedeva in tutti i luoghì.
Trasferito al convento de l'Arbresle, costruito da Le Corbusíer nelle vícinanze di Lione, le visioni terrlfìcanti contínuarono a minare la sua struttura psichíca.
Scriveva poesie: "In luci e tenebre scorre il sangue della mìa esistenza / chi mi può dire come è l'esistere / l'esperienza dei visibile o dell'invisibile?"
I medici suggerirono di sospendere gli studi per dedicarsi a lavori manuali. Si impiegò come orticoitore in Villefranche-sur-Saone e affittò una piccola camera in una pensione di immigrati, il Foyer Sonacotra, e pagava le spese col proprio salario. Il padrone notò che era indolente, ora allegro, ora triste, risucchiato da un tormento interiore. Nel suo quaderno di poesie scrisse: "Sono notti di silenzio / voci che urlano in un spazio ìnfinito / un silenzìo dell'uomo e un silenzio di Dío".
Sabato 1 0 agosto 1974 fra Roland Ducret andò a visitarlo. Bussò alla porta della sua stanza nella zona rurale. Nessuno rispose. Uno strano silenzio incombeva sotto il cielo azzurro dell'estate francese e avvolgeva foglie, vento, fiori, uccelli. Nulla si muoveva. Sotto la chioma di un albero il corpo di-Frei Tito, appeso ad una corda, dondolava fra cielo e terra. Aveva 28 anni.
Nel 1983 i suoi resti mortali ritornarono in Brasile. Accolti con una solenne liturgìa nella cattedrale di Sé, a Sao Paulo, ora sono sotterrati a Fortaleza, sua terra natale. Il cardinale Arns disse che Tito finalmente aveva incontrato l'altro lato della vita, l'unità perduta.
Figura embiematica fra le vittime della dittatura, Frei Tìto diventò venerabile. La sua relazione sulla tortura vinse il premio di miglior materia dell'anno 1970 dalla rivista "Life'. Il cortometraggio 'Frei Tìto', diretto da Marlene Franca, ricevette premi e consensi in Brasile e all'estero. Premiata dai Servício Nacional de Teatro, l'opera teatrale di Licinio Rios Neto "L'arco dì trionfo non sarà un monumento al Pau de arara?" alla memoria di Tito fu proibita dalla censura. Oriana Fallaci lo ricorda nel romanzo 'Un uomo". Raniero La Valle esaltò l'esempío di lui in "Fuori del Campo'. Adelia Prado gli dedicò il poema "Terra da Santa Cruz". Madeleine Alleins pubblicò per le Editions Du Cerf "Il deserto e la notte" ispirato alla testimonianza di lui.
Il 1 0 agosto 1999 nella Chiesa di Sao Domingos, in Sao Paulo, i 25 anni dal martirio di Frei Tito sono stati celebrati da dom Evaristo Arns, mentre eventi simili si sono avuti in altre città del Paese,
La memoria di Frei Tito può essere rinnovata da noi con le parole che egli scrisse a Parigl il 12 ottobre 1972:
Quando seccherà íí fiume della mía infanzia
tacerà ogní dolore.
Quando i rusceilí limpidi del mio essere inaridiranno
l'anima mia perderà la sua forza.
Andrò allora alla ricerca di pascoli lontani
- là dove l'odio non ha un tetto per riposare.
Là pianterò una tenda aí margíní del bosco.
Tutti í pomeriggi mí stenderò sull'erba
e nei giomí silenziosi farò la mia preghiera.
Il mío otemo cento di amore:
espressione pura della mia angoscia più profonda.
Neí giomí dí primavera, coglierò fiori
per il giardino della mia nostalgia.
Vincerò così íl ricordo di un passato oscuro.
(a cura di Koinonia-periodico mensile dei domenicani di Pistoia).