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IL VANGELO DI CRISTO, IL VANGELO DI FRANCESCO

1. Francesco è chiamato da Assisi, ma non appartiene a nessuna particolare città, a nessuna nazione, a nessun popolo, bensì all’umanità. Già Dante lo definiva "un sole", appunto perché destinato a illuminare tutte le parti della terra e gli uomini che vi abitano. Infatti ovunque egli è conosciuto, "amato e venerato"; la sua immagine e la sua "storia" sono stati raffigurati e narrati e cantati e dipinti e scolpiti da artisti, poeti e saggi come non è avvenuto per nessuno; "e il suo nome e la sua fama sono giunti fino a noi come un canto di amore e una consolazione divina e tutto quello che egli disse e fece è ancora oggi vigorosamente nuovo come settecento anni fa" (H. Hesse, Francesco di Assisi, Roma 1993, p. 48).

Francesco è il vanto della chiesa cattolica, ma può essere giustamente designato come il santo di tutte le religioni; il profeta che non ha parlato al solo Israele della carne o all’Israele di Dio ma a tutti gli uomini e quel che più conta parla ancora. Il suo spirito come quello di Cristo non è monopolizzabile; anche se molti istituti ne rivendicano la privativa, appartiene a tutti, particolarmente agli umili, ai semplici, ai puri di cuore, ai miti, ai misericordiosi; a tutti quanti in una parola vivono per un ideale di giustizia e di pace e si affaticano per la costruzione di un mondo, inteso il termine nel suo più alto senso, migliore.

I cristiani anonimi sono forse più di quelli registrati (negli elenchi battesimali); lo stesso può valere anche per i "francescani". Quali sono i più autentici, nel primo e nel secondo caso, è noto solo a Dio e sarà un giorno motivo di grande sorpresa, scoprire forse ai primi posti quelli che sembravano essere all’ultimo o addirittura fuori da ogni catalogazione.

2. Le scelte di Francesco superano la sua persona e il suo tempo perché coincidono con quelle stesse di Dio. Il suo vangelo è sempre quello di Gesù Cristo, ma, si può aggiungere, è anche quello di Pietro Valdo, di Giovanni Huss, dei profeti della Riforma, di Gandhi o di Che Guevara. È sempre la parola di Dio, ma non legata, cioè non subordinata a invadenze culturali umane, ma libera, rispondente alle voci e alle mozioni dello Spirito che soffia ovunque sono uomini in ascolto, indipendentemente da qualsiasi percorso obbligato.

"Abbiamo tutti lo stesso Dio", anche se le denominazioni e le "teorie" a suo riguardo sono diverse; ma abbiamo anche lo stesso Cristo anche se si presenta con fisionomie e tratti spirituali differenti. Quello che propone Gesù nel suo vangelo lo dicono in latri modi e con altre intonazioni gli "inviati di Dio" apparsi nel corso della storia della salvezza, dal lontano Oriente all’estremo Aquilone e che infine risuona nell’io profondo che parla nella coscienza di ogni essere umano (e infraumano). La parola di Dio, la voce dello Spirito, i riflessi delle coscienze, le leggi di natura, se bene intese, dicono tutte e tutti la stessa cosa.

Lo Spirito di Dio è uno e unifica i cuori e le menti di coloro che l’accolgono; le divisioni non provengono da una differenziata proposta divina, ma da una differente eco che ha nell’intelligenza e nella coscienza degli uomini, a seconda della loro diversa maturazione spirituale e forse più ancora della rettitudine o della malevolenza da cui sono pervasi. I conflitti nascono quando qualcuno ritiene che la sua "interpretazione" della verità (divina) sia più giusta di quella dell’altro o addirittura che la sua sia "retta" (orthos) e l’altra falsa o peggio ancora che una abbia diritto di circolazione e l’altra sia da reprimere e che gli uomini che la professano debbano tacere, se non scomparire. Quanti delitti non hanno provocato le teologie, quante divisioni, lacerazioni, scempi si sono perpetrati in suo nome nella grande comunità dei credenti.

I "padri conciliari" che a Trento condannavano i loro "fratelli nella fede" lo facevano in nome di Dio, di Cristo, del Vangelo; in realtà essi sentenziavano in base a concezioni filosofiche (la Scolastica), rispettabili, ma sempre relative e attualmente fuori corso.

Gli uomini di oggi vanno riscoprendo e ricuperando il senso della loro libertà religiosa (v. Dignitatis Humanae), ma esistono ancora troppi steccati, circolano nuove somme teologiche (v. il "Catechismo della chiesa cattolica"), nuove assolutizzazioni e integralismi (dall’una e dall’altra sponda) a tenerli pretestuosamente divisi. Il Dio di Gesù non può dire cose diverse dal Dio di Abramo o di Maometto; se a volte sembra dirle è perché gli vengono attribuiti dai rispettivi suoi portaparola e peggio ancora dai suoi presunti "rappresentanti" temporali.

La testimonianza di Gesù Cristo è per tutti la stessa, ciò nonostante le chiese cristiane si peritano, ognuna dalla propria parte, di averne una più esatta conoscenza fino a ripudiare e a combattere chi pensa il contrario, ma non perché una è più strettamente vicina a Cristo dell’altra, ma perché è sopraffatta dallo spirito di dominio più dell’altra. Le tendenze egemoniche, dice Gesù, non vengono da Dio ma da Satana. È la tentazione che egli ha vinto, ma nella quale i suoi seguaci il più delle volte soccombono.

3. San Francesco è tornato al cuore del vangelo e del messaggio cristiano. A Greggio si ferma a meditare sul Cristo infante, ma nel corso della sua vita tenta di ripercorrere le orme di un profeta itinerante, il carpentiere di Nazareth, che non sempre ha avuto tutto il necessario per nutrirsi e la sera un posto dove posare il capo. Francesco non ha tanto amato la "povertà", come afferma Dante, che è sempre stata una "dama", se non una nobildonna, ma i poveri che hanno un ben altro volto. Il "mondo" che egli, come afferma nel suo Testamento, ha "lasciato" era la città di Assisi, costruita e raccolta intorno al municipio e al vescovado ed occupata per lo più da nobili e mercanti a cui anch’egli apparteneva e si portato fuori le mura, dove si trovavano i nullatenenti (i "minores"), gli indifesi, gli emarginati, i lebbrosi, i vagabondi, i briganti. Egli stabilisce qui la sua presenza (San Damiano, la Porziuncola, le Carceri) e quando si vedrà attorniato da numerosi seguaci li spanderà per il mondo come missionari della buona novella.

San Francesco passa come fondatore di tre ordini, in realtà l’ "ordine" è ciò che più contrasta con il suo animo e con la sua vocazione. In qualsiasi modo l’avesse pensato o sognato, non cessava di essere un punto di riferimento, una pedina dell’apparato socio-politico-religioso del tempo; in pratica un centro di potere, un feudo accanto a quelli esistenti, destinato a gravare sulla massa del popolo. La sua intenzione era invece quella di radunare un nuovo popolo capace di proporsi l’attuazione, senza glossa, del discorso della montagna. L’uomo evangelico, come egli lo intendeva, era chiamato a contestare, anche senza dirlo, lo stato di cose esistenti, non a dargli il proprio appoggio.

Un nuovo "ordine", anche se assumeva l’etichetta di "mendicante", non aveva davanti a sé altra scelta che quella di rafforzare il sistema imperante, condividendone i molteplici privilegi, le varie forme di immunità. Era ciò che aveva compreso Francesco. Egli che veniva dal mondo dei privilegiati si è preoccupato di non ricadervi per altra via.

4. Lo spirito di Francesco come lo spirito di Cristo aleggia perpetuamente al di sopra della storia, solo raramente trova uno sfocio nelle vicende umane. L’amore al prossimo, persino al nemico, fino al prezzo della propria vita è l’utopia cristiana che nemmeno ha sfiorato, tanto meno modificato, il cammino dell’uomo.

Tuttavia Francesco ha fatto compiere un passo avanti al vangelo, inglobando nel suo amore all’uomo, al nemico anche l’abbraccio al lebbroso, la fraternizzazione con i ladri di Montecasale, la benevolenza al portinaio della Porziuncola, la stretta di "mano" al simbolico lupo di Gubbio. Egli ha abbracciato nel suo amore tutta l’ampiezza del creato, il sole, la luna, le stelle; il vento, il fuoco, l’acqua; i fiori, le erbe, gli alberi e ai suoi simili ha suggerito un nuovo modo di risolvere gli eventuali conflitti, non con le armi ma con le parole, con la remissione, il perdono.

Al legato pontificio e alle guide dell’esercito cristiano che si preparavano ad attaccare il Sultano d’Egitto propone la via giusta per risolvere l’interminabile vertenza con l’Islam. Se lo scopo della crociata era l’accesso ai luoghi santi si poteva raggiungere egualmente, con risparmio di forze e di vite umane, parlando trattando con chi ne aveva il possesso.

Ma come quella di tutti i profeti, anche la voce di Francesco è rimasta inascoltata; solo che la storia gli ha dato in tutto ragione. Non è enfatico, né abusivo l’appellativo che gli è stato dato: "profeta dei nostri tempi".

E siamo stretti intorno alla sua persona, ricordiamo la sua testimonianza per dare vita agli ideali che hanno animato la sua vita, prima di tutto la fratellanza tra gli uomini e più ancora tra i popoli, l’amore, l’amicizia con tutti gli esseri del creato. Essere francescani non significa portare un particolare distintivo o indossare una speciale divisa ma avere un animo grande, libero, capace di oltrepassare schemi e frontiere, solidarizzando con chi ha bisogno di comprensione e di amore. Il seguace di San Francesco non è settario, iconoclasta, razzista, belligerante, ma ovunque passa semina la serenità, la concordia, in una parola la "pace" e il "bene".

Voglia Iddio accordare a noi tutti di essere realmente quello che ufficialmente o forse piuttosto irresponsabilmente dichiariamo di essere, "figli" e "discepoli" di San Francesco.

Ortensio da Spinetoli

 

 

 


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