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FIGLI DI UN DIO POTENTE

I Sentimenti di Gesù Cristo  (FIL 2, 5)

"Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse ma quello degli altri.

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù cristo,

il quale pur essendo in forma di Dio (morphe theou)

non ritenne una rapina l’essere uguale da Dio (einai isa theo)

ma annientò se stesso (eauton ekenosen)

diventando simile (omoiomati) agli uomini

e ritenuto dall’aspetto (skemati) qual’uomo.

Si umiliò (etaipeinosen) facendosi ubbidiente (hypekoos)

fino alla morte e alla morte di croce.

Per questo Dio l’ha esaltato (hyperypsosen)

e gli ha dato il nome (to onoma)

che è al di sopra di ogni altro nome;

perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra;

e ogni lingua proclami che Gesù cristo

è il Signore, a gloria di Dio Padre. (Fil 2, 1 - 11)

1. Il contesto

Paolo è verosimilmente prigioniero a Roma intorno agli anni 61-63 e da qui scrive ai cristiani di Filippi per ringraziarli della loro attenzione e generosità, per metterli al corrente della sua situazione ed esortarli alla concordia. "Che possa sentire di voi che siete saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo" (1, 27).

L’unità sembra minacciata soprattutto dalle rivalità, dai settarismi, dalla vanagloria (2, 3). La vita in comune richiede disinteresse, posposizione di se stessi, umiltà, carità. Alle sue personali considerazioni l’apostolo aggiunge il ricordo di una testimonianza che per il fedele deve essere determinante, quella di Gesù Cristo. Anche Gesù ha dovuto compiere scelte scomode per attaure la sua missione, per non far prevalere il proprio arbitrio sulla volontà del Padre. Una testimonianza che l’apostolo trovava ricapitolata in un inno della chiesa primitiva e che ha creduto opportuno inserire nella Lettera (Fil 2).

2. Il testo

Il v. 5 afferma che il soggetto della pericope è Gesù Cristo, quindi l’autore non parla del Verbo incarnato ma del profeta Gesù di Nazareth. In un momento determinante della sua vita ha dovuto compiere una scelta onerosa al posto di un’altra onorata. Sembrerebbe che un tal momento sia quello dell’ "incarnazione" dove la "natura divina" con tutti i riflessi di gloria e i diritti connessi viene deposta per assumere la natura umana la quale adombra se non nasconde la natura, le potenzialità divine. L’ "incarnazione" è un’umiliazione che Gesù accetta se non malvolentieri con grande spirito di abnegazione per il bene delle moltitudini.

Un’ipotesi diversa pensa invece che l’alternativa riguarda un momento dell’esperienza storica di Cristo, quello della sua scelta vocazionale; in pratica la scelta della strada da percorrere nell’adempimento della sua missione. Se occorreva assumere gli atteggiamenti e i comportamenti di un plenipotenziario divino o presentarsi nelle vesti di un comune "uomo", di un "servo". Sembrava ovvio dalla tradizione profetica e dai compiti propri dell’ "uomo di Dio" che egli dovesse assumere le connotazioni che lo rivelavano tale. L? "essere uguale a Dio" più che un valore ontologico (sempre assurdo per un ebreo) ha un senso puramente esistenziale: rivendicare lo stesso tenore di vita, lo stesso prestigio, la medesima gloria di colui di cui si è rappresentanti. Ma a questa aspirazione spontanea e quasi legittima Gesù ne ha fatta prevalere un’altra opposta, inspiegabile alla logica umana, ma conforme alla predizione profetica (Is 53).

3. La condizione servile

Il testo contrappone la "forma Dei" e la "forma servi". Nel greco si ha per entrambi i casi lo stesso termine morphè che può significare anche "natura" (sebbene più opportunamente sono usati al riguardo i termini ousia e physis) ma normalmente sta per "condizione", "modo di vivere". E il parallelismo tra morphè Theou e morphè doulou, tra "forma Dei" e la "forma servi", fa pensare che si tratti di due modi di esistere contrapposti ma che sono sullo stesso piano. Nell’uno e nell’altro caso bisogna tradurre sempre con lo stesso termine. Siccome non è comprensibile "al natura del servo" mentre lo è "la condizione del servo" anche nel primo caso bisogna parlare di "condizione" più che di "natura divina".

Il travaglio che passa nell’animo di Gesù è sottinteso nel termine arpagmos, preda, un bene che si desidera a tutti i costi tenere. La rinuncia alla "condizione", quindi agli onori divini non è stata facile; solo con grande forza e coraggio Gesù è riuscito a modificare la sua mente e la sua volontà ("conversione") fino a scegliere la condizione opposta a quella che più gli sembrava rispondente ai compiti a cui si sentiva chiamato.

Se ciò è vero l’inno è parallelo al racconto sinottico delle tentazioni (Mt 4, 1-12). Non per nulla si chiamano anch’esse "tentazioni messianiche". Anche qui i vangeli ricordano che Gesù ha rifiutato la via del prestigio, della gloria, del potere o della regalità per un ideale opposto delineato dalla profezia del "Servo di Jhw" (Is 53). C’è una logica, quella che sembra scaturire dalla collaborazione da prestare al piano di Dio, dove il ricorso a dimostrazioni di potenza appare scontato, mentre lo Spirito suggerisce vie secondarie e inappariscenti, poiché la potenza di Dio, spiegherà Paolo, emerge nella debolezza dell’uomo (2 Cor 12, 9).

4. La kenosi

La "discesa" o abbassamento al posto dell’ "ascensione" è segnata da particolari verbi, il primo dei quali è ekenosen, svuotò, spogliò se stesso, né della natura, o filiazione ma dalla condizione divina, quella che gli viene in quanto suo inviato. Gesù preferisce lo stato sociale del servo a quello del Signore e per questo ha compiuto una spoliazione.

Il secondo verbo è ghenomenos, "diventando" "simile" (omoiomati) agli altri uomini. Un uomo come tutti, alla pari di tutti; senza ritenersi o porsi al di sopra degli altri. Un uomo qualsiasi. "Gesù uomo tra gli uomini" non è uno slogan ma la reale segnalazione della sua identità.

Un nuovo verbo in discesa Etapeinosen: si rese umile, piccolo, alla lettera "tapino" come è in genere un servo, senza posto nella scala sociale, senza diritti. Il sostantivo hypekoos o conferma. Non è l’ubbidienza al Padre che l’autore ricorda, motivo di vanto più che di umiliazione, quanto la sottomissione agli avversari, soprattutto nel corso della passione. "Hanno fatto di lui quello che hanno voluto" si può dire a suo riguardo (Mt 17, 12).

La morte di croce è l’ultimo gradino della kenosi. È stato meno di un servo che normalmente non chiude la propria esistenza su un patibolo, come un malfattore (Dt 21, 23).

L’inno ritrae l’esperienza storica di Gesù ma non lascia intravedere il suo dramma interiore, l’inquietudine, il panico, l’angoscia, la paura; i conflitti che ha subito e vinto. L’autore sembra fermarsi alla superficie, alle sofferenze del corpo più che a quelle dello spirito, cioè alle titubanze, tergiversazioni, crisi con cui ha svolto la sua missione. Anche queste fanno parte senz’altro della sua esistenza, della sua esperienza.

5. L’esaltazione

La preposizione "per questo" (dio kai) non è puramente esplicativa ma consequenziale. La "gloria" che il Cristo riceve dopo l’ignominia della croce è una ricompensa meritata, un premio. Doveva patire e "per questo" entrare nella gloria, spiega il misterioso viandante ai discepoli di Emmaus (Lc 24, 26). Perché ha accettato fino in fondo il programma del servo riceve l’esaltazione al di sopra di tutti gli esseri.

La risurrezione è un mistero inesplorabile. Gli autori sacri lo ridanno in termini omologati dall’esistenza umana: ascensione, glorificazione, esaltazione, superesaltazione. Non sono foto del mondo dell’al di là, ma interpretazioni in termini accessibili all’uomo. Se la scelta terrena è segnata dalla kenosi e dalla tepeinosis l’esistenza nuova è al termine opposto. Quelli che l’hanno schiacciato lo vedranno al di sopra di loro, signore.

Il "nome" sta per la persona di chi lo porta; quindi Gesù risorto è al di sopra di tutti gli esseri. Si tratta di un discorso immaginoso per dare un’idea della vittoria conseguita da Gesù con la sua morte. Finito come l’ultimo dei servi si ritrova come il Signore di tutti. La "prostrazione" davanti a lui è il segno dello stato di gloria in cui è entrato nel mondo di Dio. I cieli, la terra e sotto terra sono le tre regioni cosmiche.

Conclusione

Gesù è sempre il punto di confronto del credente ma se la sua esistenza si stacca da quella del comune uomo rimane una provocazione, un ideale lontano dai comuni mortali. Bisogna riportare Cristo in mezzo ai comuni fratelli per cogliere la sua vera identità e il senso della sua missione. Egli ha aperto una "strada" (Gv 14, 6) stretta e malagevole ma ha dovuto percorrerla lui prima di suggerirla agli altri: per questo è salvatore (Mt 11, 29-30). Si tratta di ripercorrerla, magari con le stesse ansietà e angosce, ma soprattutto con lo stesso coraggio per arrivare alla stessa meta.

Ortensio da Spinetoli


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