Porto Alegre

Il movimento tiene e si estende

Una breve premessa. Victor Frankenstein, il vero mostro, ha colpito probabilmente anche me ed il mio computer, quindi giungo all’appuntamento quindicinale con qualche giorno di ritardo. Spero non succeda più. Il tema odierno, come preannunciato, è Porto Alegre. La cronaca è nota, anche il numero di marzo di Tempi di Fraternità ha ampi servizi dei nostri due inviati. Il Forum mondiale è stato una rete amplissima di persone, ambientalisti, sindacati, partiti, cristiano sociali, movimenti senza collocazioni particolari, seminari, piazze tematiche, riunioni continentali e nazionali, stesure di documenti, proposte per il futuro. Una costellazione di piccoli fuochi, proprio come le stelle, che si sono accesi per poi continuare a risplendere altrove, nella propria terra, nel proprio paese. Un caleidoscopio di realtà diverse, unite nell’impegno di salvare l’uomo e la terra. Ne consegue una gran difficoltà a fare una sintesi che dia la ricchezza dei fenomeni avvenuti. Il documento finale stesso, che v’invitavo a leggere la volta scorsa, non dà ragione della fantasmagoria delle cose accadute. Tuttavia tenterò qualche riflessione e bilancio.

Sin dall’inizio del Forum mi è piaciuta l’intervista rilasciata, e diffusa dalle agenzie di stampa, da Joao Pedro Stedile, leader del movimento Sem Terra (I Senza Terra). Egli dice: "Il petrolio del futuro si chiama sfruttamento della biotecnologia. Gli USA stanno costellando di basi militari l’Amazzonia, dalla Bolivia al Brasile. In Amazzonia è possibile trovare 55.000 mila piante diverse, mentre in tutto il Nord America non ce ne sono più di 5.000. E’ evidente l’interesse che l’America Latina riveste per le multinazionali che si occupano di biotecnologia, non a caso le aziende più in forma in un sistema economico mondiale in fase di recessione. Poter brevettare a loro uso e consumo questa ricchezza della natura è una cosa che dobbiamo scongiurare. E’ per questo che siamo qui a Porto Alegre, per incontrarci, per analizzare insieme alla società civile di tutto il mondo le forme migliori per reagire dal basso allo strapotere del mercato e della finanza. Una resistenza è necessaria, siamo qui per organizzarci al meglio". Come i Sem Terra, migliaia di gruppi hanno detto cose analoghe. Una finalità specifica di ciascuno e poi il convergere in una forma di nuova resistenza. Non un linguaggio unico, ma tanti linguaggi che confluiscono nel sogno di giustizia e di pace. Solo così il mondo può salvarsi dallo scontro di civiltà.

Un aspetto di bilancio. Il movimento ha resistito a prove tremende, che sembravano doverlo disgregare. A Genova, la violenza studiata a tavolino, scientifica, che si è inserita in mille modi tra le fila dei dimostranti pacifisti attraverso gli infiltrati - triste realtà dimostrata dalle mille testimonianze e dai filmati -, che sembrava avesse annientato ogni speranza di poter continuare la lotta, non ha raggiunto il suo scopo di spegnere il movimento, anzi è stata uno stimolo a purificare gli animi da facili entusiasmi ed a rimettere a fuoco tattiche più realistiche, meno gridate, ma più incisive nella realtà, quale quella di agire nel locale pensando al globale.

Un altro colpo al movimento, mortale si sarebbe detto, è stato l’ 11 settembre. A partire dalla distruzione delle Torri gemelle sembrava non dover seguire altro, a livello politico, che lo scontro bipolare tra gli USA, difensori della democrazia, ed il terrorismo identificato in Bin Laden, la personificazione del male da distruggere. Ogni forma di contestazione equivarrebbe, si diceva, ad un appoggio al terrorismo. Ancora una volta il movimento ha saputo fare analisi più realistiche, ha sottolineato che la posta in gioco era il petrolio e le materie prime di cui le regioni del Medio Oriente e dell’Asia Centrale sono ricche, che il nemico è trasversale ad ogni potere che tenta di espropriare la base sociale del suo diritto decisionale e che i veri nemici sono sia gli USA, che preparano l’intervento in Irak, ed in ogni altro paese canaglia, per instaurare la loro nuova forma di Impero, quanto il terrorismo che non sa capire che, rispondendo con la violenza alla violenza, non esce da un vortice d’autodistruzione. La nuova via possibile indicata dal movimento è creare alternative positive di economia e di cultura reale e sollecitarne la moltiplicazione.

La crisi economica che sta coinvolgendo, con modalità diverse, sia gli USA sia l’Europa ed il Giappone, sta per altro confermando che non sono le bombe a risolvere i problemi, soprattutto quando la guerra, che sembrava vinta in poco tempo, continua in una prospettiva di lunga durata, che crea vittime ed offusca l’immagine di chi la conduce. Perché i signori del mondo non leggono mai un libro di storia e vogliono invece aggiungere una pagina già scritta, sempre più crudele, alle precedenti?

I tanti problemi antichi non risolti, ai quali si aggiungono quelli dell’acqua, del suolo, dei semi, delle specie viventi, ecc., che le multinazionali non hanno voluto o saputo risolvere ed anzi tentano di sfruttare a loro favore, hanno ancora una volta rinforzato il movimento che lotta per un possibile mondo migliore e per la pace, segno ultimo di giustizia. E’ utopia, gridano quelli che partecipano alla spartizione della torta! E’ utopia reale, sottolineano quelli che capiscono che se non ci si oppone mai seriamente a quelle contraddizioni, il mondo ci cadrà addosso.

Lo scorso anno a Porto Alegre c’erano 5.000 persone provenienti dall’estero, quest’anno più di 50.000. Accanto a questi, i brasiliani con le loro vivaci manifestazioni e coi loro problemi altrettanto scottanti di quelli del resto del mondo. Porto Alegre più che internazionale è stata un’assemblea planetaria. Se è concesso indicare due obiettivi che hanno unificato quella pluralità di mondi diversi, sottolineerei la lotta contro le sperequazioni esistenti nel mondo ad ogni livello e la metodologia pacifista. Pacifismo come metodo di lotta e pace come fine da raggiungere.

La lotta delle donne, che ha sempre maggior peso, dà buone motivazioni per questo cammino, essendo esse immuni dalle compromissioni maschiliste e guerrafondaie del passato ed avendo un capitale di cultura dell’affetto e dell’amore, non ancora espresso completamente, che sta emergendo in modo forte.

Il movimento più avanti dovrà porsi dei problemi di strutturazione interna più precisi, ma per ora è bene che cresca e si moltiplichi.

Accanto ai tanti slogan lanciati in quei giorni, globalizziamo la giustizia, la pace, i diritti umani, ecc., io aggiungerei "globalizziamo la speranza"!

(1 marzo 2002)

Mario Arnoldi